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L’uso di emoji ed emoticon conquista le persone empatiche: uno studio intrigante

Gli emoticon e le emoji sono diventate ormai parte integrante del nostro modo di comunicare, specialmente nel contesto delle app di messaggistica e delle email. Questi semplici simboli, apparentemente innocui, raccontano molto più di quanto si possa immaginare. Recenti studi, come quello pubblicato nella rivista PLoS ONE, dimostrano che l’uso di emoji non è soltanto un modo per abbellire i messaggi, ma riflette anche caratteristiche profonde della nostra personalità, come la nostra empatia e intelligenza emotiva.

Una recente indagine condotta dai ricercatori del Kinsey Institute, situato nell’Indiana, ha rivelato che le persone dotate di una maggiore empatia e intelligenza emotiva tendono a integrare più emoticon e emoji nei loro messaggi. Questo fenomeno ha dell’affascinante, perché suggerisce che le “faccine” non sono solo semplici elementi decorativi, ma sono invece strumenti che arricchiscono e amplificano il significato delle parole. Si potrebbe pensare che l’utilizzo di simboli grafici durante una chat sia un modo per alleggerire la comunicazione, ma in realtà celano delle dinamiche più complesse.

In situazioni di interazione sociale, quando inviamo un’emoji, stiamo in sostanza rivelando qualcosa di profondo su noi stessi. Le persone empatiche, ad esempio, non solo usano emoji per trasmettere il loro umore, ma impiegano questi simboli come anche mezzi per stabilire un legame emotivo più forte con gli interlocutori. Se ci pensiamo, è facile comprendere come un semplice sorriso digitale emani calore e affetto, creando un’atmosfera di disponibilità e apertura. Così facendo, si genera una comunicazione più sicura, dove l’altro può sentirsi compreso e accolto.

Stili comunicativi e uso delle emoji nel contesto sociale

Secondo lo studio del Kinsey Institute, esistono tre principali stili comunicativi nell’uso delle emoji: l’ansioso, l’evitante e quello sicuro. Questi stili non riguardano solo le modalità di invio di emoticon, ma rivelano anche l’approccio delle persone nel relazionarsi agli altri. Per esempio, chi presenta uno stile di attaccamento ansioso può utilizzare emoji come un modo per cercare rassicurazione, mostrando una certa vulnerabilità nel comunicare. Questo spiega perché l’invio di emoticon in quest’ottica possa essere un modo per tentare di mantenere una connessione emotiva.

D’altra parte, chi dimostra uno stile evitante tende a limitare l’utilizzo di emoji, il che può indicare un desiderio di mantenere le distanze emotive dalle proprie relazioni. Sono spesso i bambini a mostrare chiaramente questi stili, con risultati che un adulto può solo intuire. La particolare modalità di interazione dei bambini, che abitualmente comunicano con emoji quando vogliono sentirsi più vicino a qualcuno, ci offre uno spaccato della loro interiorità: se un bambino ricorre frequentemente a emoji in contesti sociali, potrebbe indicare la volontà di superare l’ansia o la paura del rifiuto.

Un gender gap nell’uso delle emoji

Parlando di questioni più demografiche, emerge che le donne utilizzano le emoji con più frequenza rispetto agli uomini, specialmente nelle interazioni con amici e familiari. È interessante notare come questo dato sveli un’importante dimensione sociale; le donne tendono a essere più comunicative e a cercare attivamente il coinvolgimento emotivo degli altri. Le emoji, in questo senso, rappresentano non solo un modo per esprimere sentimenti, ma anche un canale per alimentare relazioni più profonde e significative.

In situazioni di convivialità, per esempio, l’uso di emoji può essere visto come un segno di apertura e disponibilità. Comunicare con emoticon non è più una questione di poco conto, ma un vero e proprio linguaggio che, oltrepassando le parole, promuove una connessione umana. Questa ricerca ci offre nuove prospettive sull’importanza delle emoji nelle nostre interazioni quotidiane. Il che chiarisce che il modo in cui utilizziamo questi simboli non è mai banale, ma piuttosto una manifestazione della nostra personalità e delle nostre relazioni interpersonali.

Marco Maggioni

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