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In un campione dell’asteroide Ryugu c’è vita, ma non è di origine extraterrestre

Tracce di vita extraterrestre: sorprese dall’asteroide Ryugu

In un’epoca dove la ricerca spaziale sta facendo passi da gigante e le missioni si moltiplicano, un recente studio ha portato alla luce delle scoperte davvero intriganti. Sui campioni provenienti dall’asteroide Ryugu, riportati in Terra nel 2020 dalla missione giapponese Hayabusa-2, sono stati identificati dei microrganismi. Forse non è più un mistero se la vita possa esistere oltre il nostro pianeta, ma è ciò che accade sul nostro suolo a rendere tutto ciò ancor più affascinante.

La missione Hayabusa-2, lanciata nel 2014, è stata una delle più ambiziose imprese di esplorazione spaziale nell’ultimo decennio. L’obiettivo principale del progetto era quello di prelevare campioni dall’asteroide Ryugu per studiarne la composizione e capire meglio l’origine del nostro sistema solare. Nel 2020, dopo un lungo viaggio e dopo aver affrontato numerosi ostacoli, l’astronave è riuscita a riportare a casa un campione fondamentale, denominato A0180. Ma, nonostante le avanzate misure di sicurezza messe in atto, la scoperta di microrganismi ha messo in dubbio l’integrità della missione e la validità dei risultati ottenuti.

La complessità della raccolta del campione

Il campione A0180, un minuscolo granello di solo un millimetro, ha viaggiato verso la Terra protetto da una camera ermeticamente sigillata. Le misure preventive adottate dagli scienziati erano severissime: una volta atterrato, il campione è stato aperto in una camera riempita di azoto, all’interno di un ambiente controllato e privo di contaminazione. Qui, sono stati utilizzati strumenti esclusivamente sterilizzati per raccogliere il materiale, che è stato poi conservato sotto azoto. La preparazione del campione è stata seguita da un’accurata analisi tramite tomografia computerizzata a raggi X nanometrica, e successivamente è stato incapsulato in resina epossidica per l’osservazione al microscopio elettronico a scansione. Tutti questi passaggi erano stati pensati per garantire che il campione non fosse contaminato da microrganismi terrestri, o almeno, così si pensava.

Microrganismi e le loro origini misteriose

Le scansioni condotte sul campione hanno rivelato strutture sorprendenti. Bastoncelli e filamenti di materia organica, che sono stati interpretati dai ricercatori come microrganismi filamentosi. Queste strutture, per la loro dimensione e forma, potrebbero essere scambiate per microorganismi già noti della Terra. Questo solleva questioni sull’origine di questi organismi. I ricercatori hanno notato che, nel tempo, la quantità di filamenti osservati è cambiata, proprio come ci si aspetterebbe con la crescita e poi il declino naturale di una popolazione di procarioti, che hanno un tempo di generazione di circa 5,2 giorni. Questa scoperta solleva interrogativi sulla capacità delle misure di sterilizzazione di garantire campioni realmente incontaminati.

Verso un futuro più sicuro per l’esplorazione spaziale

In seguito ai risultati ottenuti, gli scienziati hanno suggerito l’urgenza di sviluppare nuove procedure e protocolli per migliorare la prevenzione da contaminazioni in future missioni spaziali. È evidente che, nonostante gli sforzi enormi, anche le migliori tecnologie possono non essere sufficienti per garantire l’intatta integrità biologica dei campioni extraterrestri. La complessità delle interazioni tra l’ambiente terrestre e quello spaziale ci insegna che la scienza deve essere sempre in evoluzione, affinché le scoperte che raggiungiamo dall’universo rimangano veritiere e significative. La ricerca continua e arricchisce il nostro sapere, mentre i misteri dell’universo si svelano un pochino alla volta.

Marco Maggioni

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