Era il novembre del 2018 quando Greta Thunberg ha cominciato un movimento che ha scosso il mondo intero. Insieme a milioni di altri giovani, ha iniziato a lottare per il clima, trasformando la sua voce in quella di una generazione che chiede giustizia ambientale. Da quel momento, domande cruciali sulla sostenibilità e il futuro del nostro pianeta hanno guadagnato attenzione e importanza. Tuttavia, negli ultimi anni, eventi drammatici come guerre e pandemie hanno messo a dura prova l’attivismo ambientale. Due conferenze sul clima dell’ONU, una tenutasi a Dubai e l’altra in programma nel 2024 in Azerbaigian, fanno parte di questo collage complesso di iniziative che lasciano molti interrogativi aperti.
Proprio di recente, a Baku, capitale dell’Azerbaijan, si è svolta la COP29, una conferenza che molti denomineranno tra le peggiori della storia. Non solo per le affermazioni controverse fatte da leader di paesi fortemente dipendenti dai combustibili fossili, ma anche per il risultato finale del documento presentato, ricevuto con disappunto da parte delle associazioni ambientaliste a livello globale. Le critiche riguardano principalmente l’assenza di impegni concreti che potessero dare, o almeno far sperare, a chi lotta per il clima. Questo evento è destinato a rimanere impressa nella memoria collettiva come un fallimento, dove trasparenza e impegno sembrano essere stati messi in secondo piano.
Uno degli argomenti trattati durante la COP29 è stato il finanziamento per i paesi in via di sviluppo, ma la cifra stanziata dai paesi industrializzati è risultata piuttosto deludente. I 300 miliardi di dollari annui promessi non sono nemmeno lontanamente sufficienti rispetto ai 1.300 miliardi richiesti. Secondo esperti e attivisti, questa somma rappresenta solo una goccia nel mare delle necessità per supportare le nazioni più povere nella transizione energetica. Dunque, mentre i paesi sviluppati si dilettano in dichiarazioni di intenti, le comunità africane, sudamericane e dell’area asiatica si trovano a dover affrontare la realtà del cambiamento climatico con risorse nettamente inadeguate.
Eppure, ciò che risulta ancora più sconcertante è il fatto che alcuni dei paesi più ricchi e inquinanti del pianeta non hanno alcun obbligo di contribuire a questi fondi. Nazioni come la Cina e la Corea del Sud, così come l’Azerbaijan stesso e i membri dell’OPEC, sono esenti da responsabilità, alimentando il dibattito sulla giustizia climatica. Questi paesi, a lungo accusati di ritardare i progressi, offrono un’illustrazione tragica della disuguaglianza esistente nel mondo riguardo alla lotta contro il cambiamento climatico. I leader di queste nazioni sembrano ignorare il Protocollo di Parigi e le sue linee guida, portando a una crescente frustrazione tra attivisti e cittadini che chiedono un’azione più decisa e concreta.
Guardando avanti, la prossima conferenza COP, prevista a Belèm in Brasile, ha già sollevato preoccupazioni. Le recenti esperienze con le conferenze climatiche ci portano a chiederci: si ricadrà negli stessi errori? I leader delle nazioni interessate saranno in grado di superare le divisioni e collaborare in modo efficace, oppure assisteremo nuovamente a un evento caratterizzato da mancanza di impegni reali? La COP29 ha lasciato un segno negativo, e molti temono che la storia possa ripetersi. Allo stesso tempo, la crisi climatica continua a progredire e con essa la necessità di risposte concrete e tempestive. Con il mondo intero che ansima sotto il peso di incertezze ecologiche, è imperativo che le conferenze future invertano questa tendenza e comincino a dare segni di cambiamento reale.
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